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  • Intervista

    Marco Magnone, autore de La mia estate Indaco e della serie Berlin

    Buongiorno cari lettori! Oggi facciamo quattro chiacchiere con un autore davvero incredibile, qualche settimana fa infatti ho avuto l’onore di conoscere MARCO MAGNONE, coautore della fortunata serie distopica Berlin e autore del meraviglioso libro La mia estate indaco, lettura che ho affrontato di recente e che ho davvero amato molto.
    In verità è stato proprio in occasione dell’arrivo di quest’ultimo titolo in libreria che ho incontrato Marco insieme ad alte blogger, ed ecco le domande che con entusiasmo e quasi accavallandoci l’un l’altra gli abbiamo posto…

    INTERVISTA A MARCO MAGNONE

     

    1 C’è un qualche tipo di simbologia legata dietro la frequente citazione della balena come animale guida?  Ho voluto non esplicitarlo fino in fondo perché a me piacciono da lettore quelle storie che ti lasciano delle domande aperte in modo che tu possa completare la storia dando delle risposte tue o provando a rifletterci sopra. In realtà mi piaceva il corto circuito a cui è legata la balena, nel senso che è un essere gigantesco che quando la vedi fuori dal suo elemento è qualcosa di pesante, quasi mostruoso, ma che poi in acqua è molto leggera. Vive in acqua come un pesce ma non è un pesce, esattamente come un pesce però non conosce confini, non vedi dove va finché non affiora.  Mi piaceva un po’ l’idea di immaginare l’adolescenza come un’età pesante ma allo stesso tempo molto molto leggera e che cambia molto in fretta, quindi la balena racchiudeva in sé il fatto di essere in qualche modo fuori posto perché vive in acqua senza essere un pesce e poi racchiude in sé gli opposti dell’adolescenza, dove non c’è mai nulla di medio, sono tutte grandissime tragedie o sogni meravigliosi, alti e bassi senza vie di mezzo, cose pesantissime che poi dimentichi in un giorno. Mi piaceva anche l’idea che ci fosse qualcosa di arcaico a rappresentare quello che per Indaco e Viola è l’adolescenza, completamente periferico in cui riconoscersi. Inoltre, la balena nella storia della letteratura ha rappresentato diversi archetipi, però è sempre stata in qualche modo qualcosa che definiva l’uomo come sua antitesi.
    2 Sia in Berlin che ne La mia estate indaco lavori su dei personaggi che sono all’inizio dell’adolescenza, come mai raccontare proprio questo inizio che poi porta a crescere in futuro? Io credo che quel momento dell’adolescenza sia il momento più interessante di una persona: perché nel corso dell’adolescenza si è pieni di domande, su sé stessi su che persona si diventerà, su quando arriverà il motorino o la ragazza, ma non si ha nessuna risposta definitiva, le risposte che si hanno sono sbagliate perché cambia tutto così velocemente che dopo anche solo sei mesi quella risposta ti sembra da bambino. È un’età terribile perché tutto è “pimpato” all’eccesso: la prima delusione amorosa è l’ultima volta che hai voluto fidarti, la fine di un’amicizia è la fine della tua fiducia nel genere umano perché è una delusione cocentissima, i primi momenti belli sono invece assoluti, ti senti immortale e senti che tutto da allora andrà bene. Ma è anche una stagione decisiva perché in funzione degli ostacoli che affronti in quel periodo della tua vita e delle risposte che scopri di voler dare scopri anche chi vuoi essere da grande, che tipo di persona, un po’ come quello che dice Stephen King ovvero che ciò che ci fa paura quando siamo piccoli o ragazzi continuerà a farci paura anche da grandi, per tutta la vita. Stiamo assistendo a un progressivo abbassarsi delle esperienze di vita che i ragazzi hanno, nel senso che quello che poteva essere un’esperienza di vita che si faceva a 15 o 16 anni qualche anno fa, adesso arriva a 13 14 anni. Quindi il fuoco di questo momento decisivo della vita si è abbassato e credo che per chi fa il mio lavoro sia semplicemente molto molto entusiasmante provare a raccontare quel passaggio, che poi è il momento in cui smetti di essere un bambino, di farti andar bene quello che dicono gli adulti e inizi a ribellarti anche solo per il gusto di farlo. Inoltre credo che oggi un ragazzo di 16 o 17 anni non abbia bisogno di leggere libri per ragazzi, legge e basta perché ha tutti gli strumenti e i bagagli per lanciarsi nel grande mondo della letteratura. All’inizio dell’adolescenza invece un’adolescente quando legge una storia che lo colpisce la fa sua, quella diventa la sua storia, una specie di tatuaggio che poi si porta dietro per tutta la vita, ed è bellissimo.
    3 Sulla base di questo, quale è stato il personaggio più difficile da raccontare?  Indaco è stato il più facile perché è quello che avrei voluto essere io da ragazzino e non sono mai stato: quello figo, che passa col rosso per il gusto di farlo, quello ribelle, sempre arrabbiato, quello “io ho una storia dietro che non ti posso dire”, un po’ un piccolo Dylan McKay di provincia, quindi lui per me è stato facile da immaginare. La cosa su cui ho ragionato di più è stato quale potesse essere il suo segreto e partendo da questo sono arrivato alla conclusione che era proprio il fatto di essere disposti a tutto pur di diventare ciò che vuoi essere anche confondendo i piani del vero e del verosimile: nel senso che da adolescenti è facile costruirsi castelli di fantasie, è abbastanza naturale raccontarsi una storia per provare a farla diventare propria. E in questo Indaco e Viola non sono molto diversi, ma per Viola è sempre ben chiaro quello che è la realtà e le storie che lei si racconta e scrive per guardare in faccia le proprie paure. Viola sicuramente è stato un personaggio molto difficile da raccontare perché non sono mai stato chiaramente una ragazza di 13 anni con i problemi che ha lei, esattamente come lei ho avuto un grosso problema con la piscina e quello che le capita è praticamente autobiografico dato esattamente dal tipo di blocco che ha avuto lei rispetto alle aspettative, rispetto agli altri, a un mondo che di colpo diventa molto più grande di quello che ci immaginiamo. Come ho fatto a farla emergere? Non lo so, non so nemmeno se ci sono riuscito del tutto, ma ho provato a farlo. Ho studiato i personaggi femminili che ho amato molto come Caitlin di Ferma così, la protagonista di Ti darò il sole o la protagonista di The end of the f***ing world provando a chiedermi come sarebbero state due anni prima. E poi ho cercato di far in modo che fosse la storia a guidarmi. Ad ogni modo credo che sia una costruzione di noi adulti di individuare una grande differenza tra ragazze e ragazzi a 13 o 14 anni, perché a quell’età credo che sia tutto molto confuso. Tantissimi ragazzi come Viola non si piacciono fino in fondo, hanno delle insicurezze. Per essere certo di questo ho provato a un certo punto della stesura a farmi una sinossi di tutto quello che succedeva nel libro e se avrebbe retto anche nel caso Viola fosse stato un ragazzo allora sarei stato soddisfatto, perché non volevo che la storia funzionasse solo per qualche stereotipo che magari avevo come adulto. Quando ho visto che tutto sarebbe andato bene comunque, ho proseguito provando ogni volta la situazione in modo inverso.
    4 Quanto gli incontri che fai con i ragazzi delle medie ha influito sulla stesura del libro? Hai mai pensato di fare dei corsi di scrittura per ragazzi? Più o meno faccio una sessantina o settantina di incontri  l’anno ed è sufficiente ad esaurire la mia quota di fatica perché ogni classe merita il massimo entusiasmo, non mi è mai venuto in mente di fare corsi di scrittura con loro perché a quell’età dev’essere puro intrattenimento, gioco. Io ho iniziato a scrivere esattamente alla fine della prima media: mi sono seduto a tavola e ho detto “mamma, papà, da grande farò il cavaliere dello zodiaco” mi hanno guardato cercando di capire dove il loro unico figlio avesse battuto la testa e hanno cercato di spiegarmi che sarebbe stato difficile, per me è stato uno smacco. Ma ho capito che l’unico modo era scrivere un racconto in cui diventavo un cavaliere dello zodiaco. Probabilmente il racconto peggiore del mondo, ma chi se ne frega perché in quel momento ho capito che le storie potevano fare questa cosa pazzesca, potevano creare una via di fuga perfettamente legale dalla realtà. Lì non ho più smesso.
    Il contatto con i giovani mi è utile perché mi aiuta a capire che noi adulti quando scriviamo per i ragazzi dovremmo evitare di “fare il verso” mettendo in scena un ragazzo o una ragazza spargendo un po’ di termini da giovani e argomenti che a loro interessano solo per far capire che li capiamo. Incontrarli mi ha aiutato a prenderli più sul serio, a capire cosa a tredici anni conta davvero, e soprattutto perché.
    5 Quanto è sbagliato tenere lontano dai ragazzi le emozioni positive o negative, come ad esempio la prossima morte del nonno da Viola da parte dei genitori? Volevo costruire due genitori che non fossero “cattivi”, nonostante in qualche momento siano antagonisti di Viola, ma non sono genitori negativi. Volevo che fossero genitori piuttosto comuni, che facessero degli errori ma a fin di bene, per proteggerla. L’errore che loro fanno è proprio quello di dare una prospettiva falsa della vita, dove le cose devono per forza finire bene, mentre il mondo in cui vivono i ragazzi non è così. Quello che le storie dovrebbero fare per i ragazzi è accompagnarli poco per volta, porsi quasi come simulatore di vita nel bene e nel male, per farli sentire meno soli in un’esperienza simile reale, sapendo che si può reagire, trovare una soluzione, affrontare anche i problemi più grandi. Il compito dei genitori dovrebbe essere come quello delle storie: non nascondere le “parti brutte”, ma accompagnare e mostrare come invece le cose possono essere affrontate. La difficoltà nella realtà per i genitori è però capire come parlarne, quali sono le parole giuste per spiegare che effettivamente la realtà può anche non andare come vorremmo.
    6 Come è stato passare dalla scrittura di una serie distopica a quattro mani ad un contemporaneo? La risposta breve è che è stata una liberazione, nel senso che ho iniziato a lavorare a Berlin con Fabio nel 2012, quindi sostanzialmente ho passato sei anni tra strade abbandonate, case decrepite, simulacri di Berlino degli anni settanta, tutto molto affascinante ma alla fine entrambi avevamo la sensazione di aver dato tutto quello che potevamo dare in quello scenario. Per me sono stati sei anni preziosissimi, una specie di università, una bottega dove imparare a fare le cose. Quindi avevo una voglia matta di provare a scoprire io che tipo di scrittore sarei potuto essere, cambiando completamente “sport”, senza rifare una storia d’avventura, ma da solo volevo mettermi alla prova con una storia che sarebbe stata in grado di darmi la possibilità di parlare di tutto quello spettro di emozioni che conseguono dai conflitti principali dell’adolescenza: il senso del crescere, le illusioni, le disillusioni. Ed è stato molto faticoso perché ha significato muovermi in un mare aperto in cui non avevo riferimenti, perché ho scelto una piccola storia d’estate dove non succedono fatti clamorosi, in cui il meccanismo di azione e reazione è giocato solo su piccoli avvenimenti. È stato qualcosa di molto faticoso e molto appagante al contempo, perché significava fare qualcosa di diverso e da solo, che presupponeva in qualche modo “togliermi la tavoletta cui ero rimasto aggrappato”, perché comunque anche per Berlin Fabio è sempre stato il mio primo lettore, una camera iperbarica che mi permetteva di sperimentare e di provare senza timore quello che avevo in mente. Scrivere a 4 mani è meraviglioso perché c’è sempre qualcuno che può aiutarti, mentre scrivere da solo mi ha dato modo di fare conti con cose che riguardano me e il mio io adolescente che avevo voglia di mettere in pista.
    7 Indaco è un personaggio abbastanza prepotente e hai detto che è stato facile idealizzarlo, hai mai valutato l’idea di raccontare la storia dal suo punto di vista? In effetti è una cosa che mi piacerebbe fare prima o poi e sarebbe divertente farlo. Provare a tornare nel mondo di Viola e Indaco per tentare di raccontare almeno un pezzo di ciò che non è stato raccontato, perché dopotutto noi sappiamo solo quello che Indaco racconta a Viola, ma non sappiamo se veramente si è inventato tutto e non ha nessun problema o se invece c’è davvero qualcosa di più grosso nascosto che non ha voluto dire, come non sappiamo quello che è successo a Indaco nell’anno in cui loro passano lontani l’uno dall’altra e poi si rivedono. Lui sembra un po’ ripulito da quell’aria da bad boy, ma anche lì: è forse di nuovo una maschera o è davvero così?

    Diciamo che troverei divertente provare a raccontare, un po’ come fa Palacio con Wonder, la storia da altri punti di vista, qualcosa di prima o di quell’anno o cosa succede il giorno dopo che si rivedono e Viola si riprende il bacio? Cosa vuole Indaco a quel punto?
    Ho scelto in qualche modo di concludere questa storia non completamente a fuoco per lasciare aperte delle piste diverse perché a volte le cose complicate sono così solo dietro non c’è nulla, ma altre volte anche questa può essere una maschera. Sarebbe bello vedere chi è Indaco e cosa succede nella sua famiglia, e poi Viola non sa nulla di ciò che lui pensa di lei.

     

    E dopo questa lunga chiacchierata vi saluto, ma personalmente ho davvero adorato la semplicità di Marco e la sua passione, sono quindi curiosa di sapere se vi ho un po’ incuriositi alla lettura de La mia estate indaco, e in caso contrario vi lascio l’incipit del libro al quale sicuramente non potrete resistere! 😉

     

     

    Fatemi sapere cosa ne pensate, commentando qui sotto e scrivendo la vostra preziosissima opinione! 😉

     

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    2 Commento

  • Rispondi Buona lettura 20 Agosto 2019 at 13:29

    Ciao!
    Ieri, visto che era il mio compleanno, ho fatto il The Epic Birthday Booktag. Mi avevi taggato 😉
    Ti lascio il link se ti va di vedere le mie risposte: https://unabuonalettura.blogspot.com/2019/08/booktag-epic-birthday-booktag.html

    • Rispondi Francesca Verde 31 Agosto 2019 at 09:07

      Ciao Ilaria! Grazie, passo subito a leggere le tue risposte! 😉

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